Ci sono giornate nelle quali capiresti anche ad occhi bendati di essere arrivato a Maranello.
Appena oltrepassi l'antico castello e la strada che scende dalle colline abbandona i campi di grano ed il profumo della campagna e si incontrano le prime case del paese, si può cominciare a sentire il rumore di un motore di Formula 1 che la fama ha trasformato in musica, le cui note sono diventate orgoglio nazionale. E tutti i colori che vedi, quelli dei tavoli e degli ombrelloni dei bar, delle bandiere appese alle finestre delle case, delle vetrine dei negozi e delle tute del gruppo ciclistico del paese, sono il rosso ed il giallo delle Ferrari che continuamente si incontrano quando, appena uscite dalla fabbrica, provano sulle strade.
Questa è Maranello. Patria della Ferrari. Terra di motori.
Tutto qui parla delle rosse, ed il peso di questa fabbrica che è diventata il mito mondiale delle automobili da corsa e uno dei simboli della capacità italiana di eccellere in alcuni settori industriali e sportivi, ha con il tempo trasformato il territorio e le persone e ne ha sublimato la natura. Perchè ha catturato e attirato verso sè, come dice Don Alberto Bernardoni, Arciprete di Maranello, la naturale e innata capacità che gli uomini nati da queste parti hanno per il lavoro sui motori, oltre ad una forte determinazione di farlo bene, e ha costruito un legame talmente profondo, un lungo filo rosso che unisce tutti, al punto di far diventare inscindibili i due nomi.
Pochi conoscono i nomi dei paesi in Inghilterra dove si fabbricano le altre monoposto del circo della Formula 1, ma in tutto il mondo sanno che le Ferrari sono costruite qui, come raccontano quei Maranellesi che all'estero, durante i controlli doganali vengono "geograficamente identificati" perchè il nome del loro paese viene subito accostato a quello del famoso costruttore automobilistico.
Il legame ha radici profonde.
Quando arrivò Enzo Ferrari, Maranello era solo campagna e l'arretratezza dell'agricoltura di quei tempi e la povertà nella quale vivevano tante famiglie avevano costretto molte persone ad emigrare verso l'Argentina ed il Brasile. Il Cavallino rappresentò subito per i giovani la possibilità di non lasciare la propria terra, di una vita più decorosa con un salario certo tutti i mesi, e molti giovani lasciarono i trattori in campagna e bussarono alla porta del Drake, che assunse così i figli di quei contadini che a volte per necessità erano stati costretti ad aggiustarsi da soli le macchine agricole. Furono loro i primi operai della fabbrica , i primi meccanici della squadra corse.
Questa è la storia di Gisberto Leopardi, entrato in Ferrari a 17 anni e rimasto nella squadra corse fino alla pensione, e la storia di Carlo Amadessi e quella di Pasquale Cassani, che aveva anche un sogno: che prima o poi potessero esistere dei motori chiamati con il suo nome. Adesso, in pensione dopo 35 anni di lavoro alla squadra corse, Cassani costruisce piccoli e potentissimi motori per i go-kart. E quei trattori che aiutavano le persone a lavorare la terra negli anni in cui stava nascendo la Ferrari e iniziava l'industrializzazione dell' Italia vengono oggi comperati e meticolosamente restaurati da appassionati che ancora li usano per arare il proprio podere o per partecipare ai non rari raduni di trattori d'epoca....
Poi la Ferrari diventa mito, ed a Maranello un poco alla volta le stalle dove i vecchi tenevano gli animali si trasformano in officine dove i giovani meccanici e piloti preparano i motori e le scocche delle loro macchine da corsa.
Succede anche nella casa di Bruno Gilli sulle colline del paese, l'ultima del territorio comunale in mezzo alla campagna, lungo la strada per Serramazzoni. Qui tra vecchi abbeveratoi, gomme d'auto e scudetti della Ferrari il figlio di Bruno, Lorenzo, insieme all' amico e navigatore Alessandro Raffaelli, prepara la sua auto per le gare in salita e insieme a tanti amici festeggia le frequenti vittorie o le festività del paese. Anche i garages nascondono i segni di questa divorante passione : vecchie Fiat Topolino insieme ad altre auto e moto rinasceranno con il tempo. E nella sua cantina Azeglio Cappi, 67 anni, tutta la vita carburatorista nella squadra corse più famosa del mondo, conserva due motori Ferrari oliati e perfettamente funzionanti sulle assi di legno, tra le bottiglie di lambrusco e le "pere" di prosciutto.
La febbre ha contagiato tutti.
I bambini dell'asilo nido giocano con automobiline rosse, indossano spesso il berrettino con lo scudetto del Cavallino e chiamano la piccola pista ciclabile nel giardino della loro scuola "la pista della Ferrari". Qualcuno di loro già riconosce il rumore dei motori delle rosse; la giostrina nel giardino pubblico dietro al Municipio ha la forma di un cavallino e gli studenti più grandi dell' IPSIA ( la scuola motoristica voluta da Enzo Ferrari e dedicata a suo figlio Alfredo) sognano prima o poi di riuscire a lavorare nella "loro"scuderia.
Sognano, come i giovani di cinquant'anni fà, e intanto lavorano e si preparano a diventare bravi meccanici. E per conoscere e fare meglio il loro lavoro ed andare lontano, spesso dopo la scuola smontano e rimontano nei garages di casa le loro utilitarie, che comperano solo usate e prive di tutti quei moderni dispositivi elettronici che ne impedirebbero le elaborazioni.
Televisione, gran premi, vittorie e mercato globale hanno fatto diventare la Ferrari un mito mondiale e Maranello un piccolo paese dal nome famoso, che vive e guadagna anche sui tantissimi visitatori attratti dal fascino del mito. Tutto il paese, nei giorni che contano per le rosse, si unisce ai turisti che oramai arrivano da tutto il mondo, nell'attesa di un risultato che potrebbe portare gioia, con Don Alberto che suona le campane della vittoria e la festa nelle strade con i caroselli delle auto, quando anche i vigili urbani chiudono un occhio. O potrebbe portare delusione, quel particolare e non piacevole senso di vuoto e smarrimento che prende dopo le grandi aspettative beffate, quando parlano i rimpianti e per un po' c'è la sensazione che davanti a noi tutto sia stato improvvisamente infranto.
E in una storia come questa dove la passione, la genialità e la determinazione di un uomo hanno tanto profondamente inciso nelle storie di tante altre persone, non poteva mancare qualcosa di insolito, forse misterioso, fra memoria e allusione. Qualcosa che potrebbe farci pensare come tutte queste vicende fossero, in parte, già state scritte altrove. Il grande Crocefisso delle processioni è rosso. Non certo in onore delle Ferrari. Ma perché nel 1750 esisteva a Maranello la Confraternita religiosa del SS. Sacramento ed i mantelli che coprivano ed ornavano gli abiti talari erano rossi e dello stesso colore era diventata la croce.
Duecento anni dopo Enzo Ferrari volle rosse le sue auto da corsa, unendo il colore nazionale dell'automobilismo da competizione a quello di questa antica tradizione locale.
E questo si chiama destino.
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